Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  giovedì 23 giugno 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Più che al numero delle intercettazioni si guardi alle ragioni di fondo del dissesto della giustizia italiana

di Marco Valerio Lo Prete

Il nuovo portavoce della ormai pressoché estinta Forza Italia ha tra l’altro dichiarato:

 

"Oggi, i cittadini italiani non sono liberi di parlare serenamente al telefono: ciò non e' ammissibile in un Paese libero". "In quale altro Paese dell'Occidente avanzato si spende così tanto in intercettazioni? In quale altro Paese dell'Occidente avanzato così tanti cittadini sono spiati e schedati? In quale altro Paese dell'Occidente avanzato sono disposti dalla magistratura così tanti provvedimenti di sorveglianza telefonica?".

 

E’ una buona occasione per tornare, approfondendolo, sull’argomento “intercettazioni”. L’altro ieri il infatti il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, intervenendo al convegno dei Giovani imprenditori, ha dichiarato che il Governo intende “introdurre il divieto assoluto di intercettazioni telefoniche, escludendo quelle che riguardano la criminalità organizzata e il terrorismo e nel prossimo Consiglio dei ministri porteremo un nuovo provvedimento”; e poi ha aggiunto: “Saranno previsti cinque anni di carcere per chi le eseguirà e chi le propagherà”.

 

Come radicali da anni denunciamo quello che abbiamo definito “Caso Italia”, “il caso di un paese in cui l’unica regola certa è quella della riduzione delle norme scritte, del diritto formalmente vigente, a puro e semplice richiamo di valore ordinatorio”, con le stesse istituzioni della Repubblica che si collocano e vivono in una realtà che tecnicamente possiamo definire "fuori-legge", cioè al di fuori del perimetro della legalità. Proprio per questo credo non si possa pensare di escludere, dal novero delle intercettazioni consentite da un eventuale provvedimento legislativo, quelle che riguardano i reati contro la pubblica amministrazione (peculato, corruzione, concussione) e l’attentato ai diritti civili e politici del cittadino – sul quale – da 30 anni, si fonda il regime partitocratrico e la sua appendice Rai-set.

 

Ancora più preoccupante il fatto che il Presidente del Consiglio accomuni in modo indiscriminato chi le intercettazioni le “esegue” abusivamente e chi semplicemente le “propaga”, ovvero decide di pubblicarle. Pubblicare le intercettazioni fa in fondo parte della deontologia del giornalista. I colloqui che vengono alla luce – lo ha ribadito più volte anche Marco Pannella - danno un grande contributo alla conoscenza delle cose che accadono; “altrimenti tutto resterebbe patrimonio di 200-300 esponenti dell'oligarchia di destra e di sinistra, che userebbero le informazioni per colpirsi reciprocamente, come palermitani e corleonesi”. Pubblicare tutto, dunque, senza cancellare nulla, se non quanto dettato dalla stessa deontologia di giornalista. Questo, almeno, se si vuole tenere in considerazione il ruolo dei cittadini e del popolo sovrano - organo costituzionale secondo la stessa dottrina - con i suoi diritti, in primis quello ad essere informato.

 

In queste ore c’è pure chi, lodando l’annuncio del Premier, si chiede "in quale altro Paese dell'Occidente avanzato si spende così tanto in intercettazioni”, in quale altro paese “così tanti cittadini sono spiati e schedati”. Porsi tali domande retoriche facendo l’economia, ancora una volta, del Caso Italia, non ha senso. Il numero spropositato di tanti provvedimenti di sorveglianza disposti dalla magistratura è solo una delle conseguenze nefaste ed inevitabili di una peculiarità che, nel panorama europeo, è esclusivamente italiana: l’obbligatorietà dell’azione penale. La magistratura inquirente non ha la possibilità, come invece avviene in altri paesi, di valutare gli elementi indiziari - magari a seguito di indagini preliminari delle forze di polizia - e scegliere se intraprendere o meno l’azione penale. In una tale situazione, le intercettazioni costituiscono l’unica “tecnologia” utilizzabile rimasta nelle mani del magistrato, deontologicamente anche lui – magari suo malgrado – costretto ad utilizzarle.

  

Le dichiarazioni del Premier, l’analisi superficiale su cui sembrano fondarsi, allontanano ulteriormente la possibilità di adesione da parte di nuove generazioni di magistrati – come dei non pochi capaci ed onesti delle “vecchie” generazioni -, magari pronti a rivoltarsi contro questa attuale maggioranza dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, ad una prospettiva concreta di riforma della giustizia italiana, di cui Berlusconi sembra non voglia nemmeno discutere.

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